Sulla percezione tattile

 

Sulla percezione tattile: l’Arditti Quartet e gli string quartets di Gadenstätter

Di Ettore Garzia

28 Novembre 2022

Nell’ambito del festival Wien Modern che si sta svolgendo in questi giorni, un interessante capitolo pensato dalla produzione pone l’accento sulla tema della complessità. Per un paio di date, gli organizzatori del festival hanno posto in essere una sorta di mini guida al tema, una selezione di 7 pezzi che incornicia la disponibilità di alcuni musicisti ad eseguire pezzi che ne incarnano la filosofia. Il 19 novembre si sono esibiti Pierre-Laurent Aimard al pianoforte, Jean-Guihen Queyras al violoncello e Mark Simpson al clarinetto per eseguire brani di Rebecca Saunders (shadow. Study for piano), di Marco Stroppa (Ay, there’s the rub) e uno dello stesso Simpson (Darkness Moves), nonchè assieme hanno suonato l’Allegro Sostenuto di Helmut Lachenmann; per oggi 28 novembre, invece, lo spazio sulla complessità sarà riservato all’Arditti String Quartet che eseguirà un programma che parte dal Carter del quartetto d’archi n. 3, continua con il quinto quartetto di Ferneyhough e termina con la disamina completa dei 3 quartetti d’archi di Clemens Gadenstätter. Mi sembra sia opportuno soffermarmi proprio su quest’ultima data perché offre molti spunti di riflessione sull’argomento.

Innanzitutto si intuisce che la scaletta del concerto segue una linea logica differenziata poiché la selezione dei pezzi prescelti tende ad evidenziare diversi concetti o scopi della complessità. Quando si parla di complessità nell’arte la prima reazione quasi sempre è negativa o spaventata, in mancanza di cognizioni utili per poterla affrontare oppure di un ingiusto rifiuto psicologico, la cui motivazione sta tutta nel pregiudizio che la musica debba avere un’anima visibile o effettistica, dal momento che costoro pongono in evidenza paragoni irregolari come quello, per esempio, che vede giudicare la musica di Bach non meno complessa di quella dei compositori contemporanei; ad ogni modo, qualsiasi tipo di complessità va affrontata con criteri di valutazione rinnovati, facendo attenzione a cosa c’è dietro questi brani o composizioni. I criteri di scelta adottati dalla produzione del festival viennese sui quartetti d’archi fanno intendere che per Carter c’è la ricerca di una complessità ritmica, per Ferneyhough l’aspettativa di una celebrazione della decodifica di una partitura, mentre per quelli di Gadenstätter la complessità richiama un obiettivo atipico, ossia la ricerca di una percezione tattile ricavabile dalla musica.
Su questo intendimento Gadenstätter ha cercato di andare oltre la solita relazione tra gestualità e suoni, puntando ad un’oggettività delle nostre percezioni sonore, praticamente fantasmi teorici di cui solo l’autore, io e forse un bel gruppo di esperti, ritiene sondabili. Se sullo strumento è possibile intervenire anche con tecniche non convenzionali e gli esecutori possono affinare le loro percezioni sonore arricchendosi di una contestualità visiva che può provenire dallo stimolo di un quadro o di un’immagine, allora si possono creare dei riferimenti tattili da vivere nella musica, formanti a livello mentale e corporale che partendo dal suono debordano nella fisicità di una sensazione.
L’idea di Gadenstätter è stata dunque quella di dare un “accesso” musicale ad un tris di rappresentazioni pittoriche che l’avevano particolarmente colpito: in häuten, il suo primo quartetto d’archi, il dipinto preso in considerazione è stato il Flaying of Marsyas (Punizione di Marsia) di Tiziano, una rappresentazione particolarmente rude per la vista poichè contiene gli scorticamenti repellenti effettuati sul corpo del satiro. Date le caratteristiche acustiche degli archi, era possibile per Gadenstätter indagare su un’equivalente sensazione tattile, qualcosa che il compositore austriaco ha rivendicato come Paramyth in ossequio alle sculture di Ernst:
…l’illustrazione viene spazzata via attraverso una costruzione di qualità tattili dei suoni, i “miti” prescrivono i modi di osservare la strumentazione di un quartetto d’archi. Le qualità del suono scaturiscono anche da un uso idiomatico dello strumento e dalle qualità tattili suggerite dai dipinti. Questo lavoro “a doppia rilegatura” sui suoni sfuma le immagini sullo sfondo e presenta la connessione tra suoni, corpi, ricordi, emozioni……” (Gadenstätter, nota accompagnatrice della partitura, mia traduzione).

Come si può intuire facilmente da quanto detto häuten è un gran lavoro sul quartetto. La partitura è piena di indicazioni sulla posizione e gli incrementi della pressione degli archetti, sulle velocità da attribuire ai movimenti, sulle intensità e le dinamiche di esecuzione e ha al suo interno quasi una ventina di indicazioni di tecniche non convenzionali, molte delle quali istruiscono sulla diteggiatura da adottare ma, come ribadito in precedenza, tutto è finalizzato all’emersione di una percezione, nel nostro caso stridula e ruvida. Un ascolto attento restituisce riflessioni sovraordinate all’intero sviluppo del pezzo: da una parte ci catapulta nell’ampio spazio di ricerca delle qualità tattili suggerite dai dipinti e perciò proietta fasi musicali in cui sono evidenti delle striature o raspature prodotte tramite gli strumenti e funzionali all’interdizione visiva, relazionabili probabilmente a quel senso di scorticato del dipinto; dall’altra la produzione di fasi meno tensive dall’implicita drammaticità, quasi come si volesse sottolineare il grande misfatto di Apollo, rientrano in una gestione stilistica della musica che si allontana dai codici tonali e rivendica un ruolo differente. Direi che se guardiamo al dipinto di Tiziano, dovremmo interrogarci sulla dissonanza (e non l’assonanza) creata all’interno di esso dal musicista che suona un violino (il motivo dell’inserimento del musicista nel quadro del famoso pittore scaturisce anche dalla volontà di rappresentare la sfida che Apollo e Marsia ebbero proprio in virtù di una gara musicale) e forse ringraziare Gadenstätter per averci fatto guadagnare in termini assoluti una fonte sonora eccellente di quella scena. Il finale del quartetto si smorza parecchio, è quasi senza forza d’urto, perché gli atti tragici arrivano al loro epilogo.

Schlitzen (Paramyth 2) è il secondo quartetto d’archi di Gadenstätter e raccoglie la dissonanza del dolore secondo le indicazioni di Crucification (Crocifissione), il quadro di Mathias Grünewald in cui Cristo viene martoriato sulla Croce evidenziando la violenza e l’abuso fatto sul suo corpo. Fino all’8′ minuto circa il quartetto lavora tra incerte vibrazioni, barlumi luminosi e glissandi esplicativi della percezione di una sofferenza, poi si presentano tante tecniche fugaci, relazioni intelligenti sulla diteggiatura e direi quel senso di dilaniamento interiore che si spande nell’ottica del movimento complessivo del pezzo; dal 12′ minuto in poi la percezione della tribolazione diventa più forte grazie ad un più uso più marcato delle frizioni e raspamenti degli archi che conducono poi agli eventi tragici, carichi di un’incontrollabile ansia che li ha preceduti.

Reissen (Paramyth 3), terzo quartetto d’archi, si collega ad Innocenzo X, il papa urlante di Francis Bacon. La riproduzione di una ragione esistenzialista trova la musica completamente asservita a determinate caratteristiche somatiche degli archi; questi si muovono tra trilli, passaggi scoscesi, desolazioni e convulsioni. Si ripropone la difficile richiesta fatta agli esecutori del pezzo di introitare le specifiche qualità tattili dei suoni, di qualificare il loro operato nell’ambito di un significato più ampio del produrre suoni, qualcosa che coinvolge corpo e mente. Come molti possono intuire, in musica la percezione di un suono ci dà in primis indicazioni morfologiche di esso (che possiamo anche descrivere), mentre la sensazione (il passo successivo) mette dentro ai suoni un senso, una sorta di riconoscimento legato a fattori convenzionali: la percezione tattile si interessa soprattutto della prima fase, la espande al contatto, alla rilevanza fisica e corporale dell’esecutore, il quale diventa potenziale veicolo di trasmissione di essa nei confronti dell’ascoltatore. Il merito dei quartetti d’archi di Gadenstätter è quello di dar voce ad una relazione molto più proficua tra percezioni visive e uditive, nell’istituire rapporti più calzanti di quelli derivanti da una semplice descrizione di figure o eventi figurativi o astratti. E’ complessità di azioni, ricerca di somiglianze, collegamenti possibili e verosimili con la materia e con drivers di senso.
…the beauty of the cruelty of revealing, the pure beauty of the exposed, the power that is transmitted by uncovering, the brutality of massive attacks of breaking open – all this applied on the idiomatic sound of the string quartet – leads to a music that floats between explosions and introspection, between strict construction and an expressiveness that I search for: expression in music as the renewal of the conjunction between perception of sounds and the „inside-feelings“, the tactile sensations, the deeply human reaction on outside sensations that occure to us…” (Gadenstätter, note di programma di häuten).